lunedì 24 dicembre 2012

Nella vostra dieta settimanale quante volte è presente la carne o altri derivati animali?


Dopo circa due settimane siamo pronti a trarre le prime conclusioni riguardo il sondaggio lanciato. La domanda richiedeva quante volte, durante l'arco della settimana, ognuno di noi consuma dei prodotti di origine animale.
Inizio subito con il chiarire al meglio la domanda, poichè molti di voi hanno chiesto quali cibi si dovessero considerare tali. Tralasciando carne, pesce e salumi, altri alimenti da dover conteggiare sono il latte, le uova, formaggi e altri prodotti caseari; probabilmente alcuni di voi stanno rivedendo i conti e per questo sono invitati a rispondere nuovamente al quesito.
Considerando i primi dati, però, è già possibile notare una tendenza non propriamente salutare: su 59 voti complessivi ben 35 hanno dichiarato che per più di 3 volte la settimana fanno uso di questi alimenti. Ovviamente non si può contestare ogni singolo caso, perchè esistono diverse variabili come lo stile di vita, una determinata attività fisica e anche la tipologia di prodotti; ad esempio, consumare esclusivamente il latte a colazione non può essere minimamente considerato "grave" come una dieta quotidiana nella quale almeno un pasto comprende carne o salumi.
Prodotti di origine animale sono spesso sinonimi di proteine e il più delle volte grassi; considerando le indicazioni che derivano dalla LARN (tabella che indica i livelli di assunzione giornalieri di nutrienti raccomandati) è possibile notare che, dell'intero fabbisogno energetico, solo il 10-12% di calorie deve provenire dalle proteine, mentre per quanto riguarda i grassi la percentuale sale a valori comunque inferiori al 30%.
I 19 utenti che hanno risposto al sondaggio condotto su  https://www.facebook.com/home.php#!/DietaInSalute con "da 1 a 3", invece, si trovano in quel range di consumatori più attenti alla propria salute, poichè, in uno stile di vita "normale", seguono perfettamente le indicazioni più recenti in ambito nutrizionale. Tengo a sottolineare l'inciso "in uno stile di vita normale", questo perchè in casi patologici o fisiologici, che tendono ad allontanarsi dal campione di base, è sempre opportuno consultare uno specialista. Uno sportivo, ad esempio, avrà bisogno di attenzioni diverse rispetto ad un lavoratore sedentario, un bambino o una persona anziana con delle particolari patologie.
Infine avremo l'ultimo gruppo rappresentato esclusivamente da 5 votanti, ovvero coloro che non fanno mai uso di carne o prodotti derivati. Per esperienza posso assicurarvi che la maggior parte di loro ha preso questa decisione in rispetto e amore per gli animali, senza considerare le difficoltà ma soprattutto gli ottimi benefici che questa scelta può comportare. Se condotta con intelligenza la dieta vegetariana, o ancor meglio vegana, può migliorare notevolmente il nostro stato di salute; esistono infatti molti prodotti vegetali altamente proteici che possono sostituire la carne, altri, invece, danno esclusivamente un apporto di grassi "buoni" che aiutano a prevenire molte malattie cardiovascolari; senza dimenticare le notevoli quantità di vitamine e fibre presenti in frutta, verdura, cereali e legumi, dei nutrienti spesso insufficienti in altre alimentazioni.
Questo tipo di dieta richiede, però, maggiore attenzione e tempo; i cibi devono essere scelti con accuratezza secondo i principi di variabilità e associazione. E' necessario consumare tutte le qualità di frutta e verdura, mangiare spesso legumi e conoscere i condimenti e metodi di cottura che permettono di esaltare le caratteristiche nutritive di ogni singolo prodotto. 
Spero che questa piccola illustrazione delle nostre abitudini alimentari sia stata proficua per evidenziare degli errori nella vostra dieta, oppure abbia confermato le vostre conoscenze. Vi ricordo però che, in un mondo dove cibo spazzatura e disinformazione la fanno da padroni, è sempre opportuno rivolgersi ad un professionista che potrà guidarvi nell'immenso mondo della nutrizione.

venerdì 14 dicembre 2012

Hamlet, una tragedia per tumori e batteri.

Human Alpha-lactalbumin Made Lethal to Tumour Cells, questi sono il nome ed il cognome di una molecola, meglio conosciuta come HAMLET, prodotta dalla reazione dell'alfa-lattoalbumina, contenuta nel latte materno, con l'acido oleico presente nello stomaco del neonato.
Questa sostanza è diventata famosa grazie ad una ricerca condotta dall' Università svedese di Goteborg; i risultati, pubblicati sulla rivista Plos One, sono stati clamorosi poichè hanno evidenziato un'attività tumoricida da parte di HAMLET.
Essa, infatti, induce l'apoptosi esclusivamente nelle cellule tumorali, agendo sul citoscheletro e sulla membrana plasmatica; gli studi si sono svolti inizialmente in vitro ma solo con l'applicazione in vivo si sono scoperte le reali potenzialità della molecola.
Alcuni pazienti con un tumore alla vescica sono stati sottoposti a trattamenti con HAMLET; dopo ogni seduta, nelle loro urine i ricercatori hanno trovato cellule cancerogene morte ma nessuna traccia di altri tipi cellulari. Altri test di laboratorio hanno invece rivelato come il latte materno sia un fattore preventivo verso altri 40 tipi di tumore.
Ovviamente questo rappresenta solo l'inizio di un lungo processo di ricerca e sviluppo; bisogna studiare come "mirare" esattamente sulle cellule tumorali, la presenza di eventuali effetti negativi sull'organismo e la reale sostenibilità di una cura.
HAMLET, però, sembra agire come difesa del neonato, non solo contro i tumori ma anche contro le infezione batteriche; l'applicazione in questo campo si concentra sulla lotta contro la resistenza agli antibiotici.
L'inevitabile sviluppo di resistenze da parte di alcuni microrganismi a seguito dell'uso spropositato di alcuni antibiotici, ha portato alla necessità di ricercare nuovi farmaci antibatterici con meccanismi d'azione differenti; HAMLET si inserisce perfettamente in questo settore, in quanto, in concentrazioni minime, potenzia l'azione dei comuni antibiotici aumentandone lo spettro d'azione. Sarà possibile in futuro sviluppare delle cure combinate, riducendo notevolmente il rischio di creare ceppi batterici super-resistenti.
Ricordiamo che questa molecola "miracolosa" si ritrova nel latte materno; rappresenta, quindi, una protezione che la madre riserva al figlio nel momento più delicato del suo sviluppo, difesa che viene a mancare quando si nutre il piccolo con latte artificiale.

Dieta in Salute

lunedì 10 dicembre 2012

Il digiuno: da Gandhi al Ramadan, che dura prova.


E' molto frequente imbattersi in libri o articoli sul web che "divinizzano" il ruolo del digiuno, esaltandone le proprietà salutari nonchè dietetiche. In passato, invece, questa privazione assumeva più un significato religioso o di protesta, senza dimenticare chi lo considera un'importante sussidio terapeutico. 
Negli ultimi anni, invece, è diventato un must per la perdita di peso o, ancor peggio, per compensare un pasto eccessivamente abbondante o qualche peccato di gola.
Senza alcun dubbio, il digiuno aiuta davvero a dimagrire, poichè le calorie di cui ci priviamo vengono ricavate dalle macromolecole già in nostro possesso; saranno quindi metabolizzati i depositi lipidici e proteici.
Nonostante questo, nell'immenso mondo dell'alimentazione e, più in generale, della salute, non è vero il detto che "il fine giustifica i mezzi", in quanto i danni causati da questo comportamento sbagliato superano sicuramente i benefici.
Il dimagrimento prodotto, quindi, non è ottenuto con metodi sani, poiché viene ridotta anche la massa magra, aumentando il rischio di disturbi muscolari. Inoltre, un eccessivo utilizzo di grassi come fonte energetica fa si che si instauri uno stato di chetosi, dovuta al tasso elevato di corpi chetonici prodotti dal fegato.
La pratica del digiuno è quindi fortemente sconsigliata, ma, se per i fini sociali e religiosi non possiamo che provare comprensione e stima, per quanto riguarda motivazioni di natura estetica dobbiamo neccessariamente condannare questo comportamento.    
Vorrei concludere ricordando che il nostro organismo ha bisogno, per un corretto svolgimento di tutte le sue funzioni, di molti nutrienti, ottenibili solo attraverso la dieta; una loro assenza determina un'"auto-digestione" dei depositi e delle strutture portanti del nostro corpo che può essere sopportata solo per brevissimi periodi. Lo stato di privazione degli alimenti, sia esso volontario che imposto, è dunque un'abitudine da non fare propria, a prescindere dalle motivazioni che lo sostengono.

Dieta in Salute

giovedì 6 dicembre 2012

Come iniziare al meglio la giornata: la crema Budwing.

La colazione è forse il pasto più importante della giornata e, se consumata al meglio, ci permette di affrontare con energia e positività tutti i nostri impegni, che siano lavorativi, studenteschi o di altro genere. Sento spesso amici e conoscenti domandarsi quale sia la ricetta perfetta, per questo motivo, dopo un pò di ricerche sul web e alcuni libri, voglio proporvi questa idea.
La crema Budwing è una preparazione ideata dalla dott.ssa Kousmìne intorno alla metà del '900, si basa sul fatto che sia più semplice far eseguire con precisione una ricetta per un singolo pasto piuttosto che ottenere dai pazienti un determinato consumo di alimenti prescritto in una dieta.
Questo "modo di far colazione" garantisce il giusto apporto vitaminico, calorico e di oligoelementi, oltre ad essere fresco, genuino e altamente digeribile. Gli ingredienti fondamentali sono frutta secca, semi oleosi, cereali integrali e frutti di stagione, amalgamati da un formaggio magro cremoso; questo mix permette di introdurre con un solo pasto vitamine, fibre, sali minerali e grassi polinsaturi fondamentali per una buona salute a breve e lungo termine. Inoltre risulta essere un piatto amato da chi ne fa un consumo abituale, sia per quanto riguarda il gusto, sia per i benefici che apporta. Qui di seguito troverete la ricetta originale proposta dalla dott.ssa Kousmìne, ma è possibile consumare gli ingredienti separatamente e apportare dei piccoli accorgimenti per soddisfare i propri gusti.



Crema Budwing per 1 persona:
  • 2 cucchiaini da caffè di olio di lino
  • 4 cucchiaini da caffè di un formaggio magro come la ricotta magra
Sbattere con la forchetta in una tazza o frullatore fino a ridurre in crema.
Si può sostituire l'olio di lino con l'olio di girasole.
Aggiungere:
  • il succo di mezzo limone
  • una banana matura schiacciata, oppure del miele
  • 1 0 2 cucchiaini da tè di semi oleosi (lino, girasole, sesamo, mandorle, noci o nocciole) macinati di fresco 
  • 2 cucchiaini da caffè di cereali integrali crudi
  • frutta fresca di stagione, a pezzi o frullata
Come potete vedere sono molti gli ingredienti che possono essere scambiati tra loro, questo ci permette di combinare a nostro piacere gli alimenti, sperimentando le ricette migliori. Un mio consiglio è inoltre quello di sostituire il formaggio cremoso con dello yogurt di soia, è più leggero e perfetto per chi è intollerante al lattosio. 

 
Dieta in Salute

lunedì 3 dicembre 2012

Quanto c'è di vero in quello che si dice sull'aspartame?

Capita molto spesso di imbattersi in persone che,  per motivi di peso o di salute, fanno uso di dolcificanti; li aggiungono al caffè, li assumono con le cosiddette bevande "zero" o spesso li consumano senza nemmeno accorgersene.  
Il principale target a cui le industrie mirano sono i diabetici che, per motivi chiari ormai a tutti, devono assolutamente limitare la quantità di zuccheri assunti con la dieta.
Ma quanti di noi sanno cosa sia, in realtà, un dolcificante e come agisce sul nostro organismo?
Questi prodotti artificiali sono aggiunti, come detto in precedenza, a cibi e bevande per conferire un sapore dolce senza apportare calorie; essi infatti mimano l'azione del saccarosio sulle nostre papille gustative ma vengono scarsamente metabolizzatti, apportando un bassissimo valore calorico.
Tra questi l'aspartame è il prodotto di punta sul mercato, una molecola che nell'organismo viene scissa in tre componenti: l'aspartato, la fenilalanina e il metanolo.
Il vantaggio di queste sostanze risiede nel loro forte potere edulcorante, ovvero la capacità di dolcificare, che nell'aspartame è circa 200 volte superiore al comune zucchero. Detto ciò, è facile intuire come si possano notevolemente ridurre le dosi e quindi le calorie assunte.
Il metanolo prodotto dal metabolismo dell'aspartame, però,  in grandi quantità risulta essere tossico per l'organismo, per questo motivo sono nate notevoli diatribe sulla sicurezza di questo prodotto; è pur vero che un consumo eccessivo potrebbe essere rischioso, ma i livelli di allerta sono molto elevati e non ancora accertati.
Se il nostro utilizzo si limitasse alla sola tazza di caffè, oppure ad un succo "senza zuccheri", potremmo stare tranquilli, se invece il nostro uso diventasse un "abuso" dovremmo ricordarci di questo post.  
In generale, quindi, il potere cancerogeno di questo prodotto non è stato del tutto accertato, soprattutto alle minime dosi abitualmente usate; tuttavia, il suo consumo sta diventando un'abitudine errata, in particolare per chi non possiede problemi di natura patologica; questo poichè esistono molti prodotti naturali che, conservando lo stesso potere edulcorante, apportano meno calorie dello zucchero da cucina.
Ricordo, inoltre, di leggere sempre le etichette dei prodotti che consumate, su molti dolcificanti troverete, infatti, il divieto di cottura poichè le alte temperature causano la formazione di metaboliti tossici per l'organismo; un'altra indicazione da non sottovalutare riguarda i malati di fenilchetonuria, una patologia che si manifesta con l'impossibilità di assimilare la fenilalanina prodotta dalla scissione dell'aspartame.
Concludo evidenziando come, anche in questo caso, la quantità di nutrienti o sostanze di altro genere, introdotti con la dieta, rappresenti il problema reale dell'alimentazione moderna; dosi sia eccessive che insufficienti sono alla base di molte patologie, così come il sovrasviluppo dell'industria chimica applicata a quella alimentare.

Dieta in Salute


mercoledì 28 novembre 2012

Cancerogeni vs Dieta


Viviamo in un modo in cui, con una frequenza inaudita, veniamo bombardati da molte notizie riguardo cibi, sostanze chimiche e prodotti industriali che vengono considerati cancerogeni, ovvero dei prodotti che aumentano l'insorgenza del cancro in un individuo sano. Amianto, benzene, nitriti e via discorrendo fanno parte di un lunghissimo elenco di sostanze poste nel mirino dei media e della critica, in particolar modo se strettamente collegati all'industria alimentare e quindi alla nostra dieta.
Essere sottoposti all'azione di un agente cancerogeno è paragonabile ad una pistola carica puntata alla testa; possiamo considerarlo come un evento che ci prepara, rendendoci maggiormente suscettibili, all'insorgenza di un qualsiasi tipo di tumore.
Studi condotti negli anni 70' nelle Filippine e riprodotti successivamente dal dott. T. Colin Campbell, a contorno del più vasto “Progetto Cina”, hanno evidenziato quanto sia importante l'alimentazione. Sfruttando l'analisi su delle cavie, di cui era possibile controllare l'esposizione ad un cancerogeno (aflatossina) e la dieta, si ottennero dei risultati unici.

lunedì 26 novembre 2012

La dieta più efficace contro il colesterolo


L'ipercolesterolemia è una delle condizioni più diffuse ai giorni nostri, nonchè strettamente associata ad una maggiore incidenza di malattie cardiovascolari; sono però diverse le opinioni su come agire, limitando i livelli del cosiddetto colesterolo cattivo o LDL. Alcuni esperti pongono al centro dell'attenzione i benefici prodotti da una frequente attività fisica, che migliorano il rapporto HDL/LDL a favore del colesterolo buono; altri invece si sono soffermati per lo più su una corretta alimentazione proponendo varie teorie.
La differenza sostanziale si basa su due idee opposte: limitare i cibi che apportano un maggiore accumulo di colesterolo LDL o aumentare il consumo di quelli che lo riducono?
Recenti studi pubblicati su JAMA suggeriscono la seconda ipotesi ed in particolare una dieta a base di prodotti integrali, frutta secca e grassi vegetali. La ricerca si è basata sull'analisi di diversi gruppi di soggetti affetti da ipercolesterolemia, alimentati con delle diete differenti; il primo gruppo, sottoposto ad una dieta povera di grassi saturi di origine animale, ha evidenziato una dimuzione del livello di colesterolo nel sangue pari al 3%, mentre altri pazienti che consumavano abitualmente steroli vegetali, prodotti integrati con soia e frutta secca vedevano lo stesso valore ridotto del 13%.
I ricercatori, quindi, oltre che confermare i problemi causati dai grassi saturi, già evidenziati in una pubblicazione dell'OMS nel 2004, hanno inoltre posto sotto la lente di ingrandimento il ruolo di cereali integrali, frutta secca e proteine della soia.
Una dieta basata su questi principi, affiancata da una sufficiente attività fisica, rappresenta, quindi, la migliore terapia per combattere la "guerra al colesterolo" e ridurre drasticamente l'incidenza di numerose malattie cardiovascolari.

Dieta in Salute

giovedì 22 novembre 2012

La dieta della danza.

La danza è una forma d'arte che richiede un fisico longilineo, armonico ma allo stesso tempo ben allenato; non è sempre facile trovare un ballerino con una costituzione fisica perfetta per questa attività, ma, grazie al duro lavoro e ad una dieta personalizzata, si può porre rimedio ad alcuni difetti.
Il corpo di un professionista deve sopportare la fatica senza compromettere la precisione di ogni singolo movimento; i muscoli devono essere potenti, per affrontare salti e prese, ma allo stesso tempo elastici; i sensi devono funzionare al meglio per garantire un perfetto equilibrio.
Basta questo per capire quanto sia importante l'alimentazione; è necessario, dunque, un adeguato apporto calorico, per lo più rappresentato da carboidrati complessi (50-60%) che permettono un lento rilascio di energia. Cereali, pasta e pane, specialmente se integrali, non devono mai mancare dalla tavola, anche se un loro abuso può fortemente incidere sulla "linea". E' importante, inoltre, assumere carboidrati sia prima che dopo gli allenamenti (circa 1-2 ore prima) per favorire sia la prestazione che il recupero. 
Le carni, invece, non devono essere consumate per più di tre volte la settimana, preferendo secondi magri come il pollo, il tacchino o ancor meglio il pesce. Per garantire il giusto apporto di proteine e ferro ,in quei giorni in cui non si mangia carne, molti nutrizionisti consigliano i legumi, dei prodotti perfetti per chi vuole mantenersi in forma. 
Non occorre, invece, "demonizzare" i grassi ma imparare a conoscerli; esistono infatti due classi di questi nutrienti con delle caratteristische differenti (per approfondire vi rimando al post "I grassi buoni e quelli cattivi"). Bisogna preferire i grassi insaturi contenuti dagli olii vegetali, in particolare dall'extra-vergine d'oliva, da alcuni semi e nel pesce azzurro; da evitare invece l'uso di burro, fritture, salumi e altri prodotti comunemente dannosi.
Con l'alimentazione ingeriamo anche dei micronutrienti altrettanto importanti per la buona salute del nostro corpo: le vitamine e i sali minerali favoriscono la produzione di energia, la resistenza delle ossa nonchè di muscoli e articolazioni, per questo sono necessarie almeno 5 porzioni di frutta e verdura, non dimenticando di bere almeno 2 litri di acqua al giorno. 
Come vedete questa dieta equilibrata si riflette perfettamente in un'attività completa come la danza; ogni singolo nutriente è fondamentale per rendere al meglio sia sul palco che nella vita, quindi possiamo dire che la danza così come l'alimentazione aiuta a rimanere in forma.
 
Dieta in Salute

lunedì 19 novembre 2012

Trovate le differenze.


La foto pubblicata insieme al post può sembrare uno scherzo, la locandina di qualche nuova dieta miracolosa oppure l'invenzione di un folle. In realtà rappresenta la pura realtà; le calorie che ci tormentano quotidianamente,  ancor più per chi prova a perdere peso, sono un'unità di misura dell'energia, strettamente correlata agli alimenti e al nostro metabolismo. Possiamo trovarle come indicazioni sull'etichette di tutti i prodotti, sui display degli attrezzi in palestra o sulle nostre diete; in molti calcolano il proprio fabbisogno calorico per "studiare" ogni singolo pasto con la calcolatrice, altri invece si fanno attrarre da confezioni alimentari che promettono bassi apporti calorici; ma siamo certi di dover dare tutta questa importanza a questi "numeri"?
La risposta a questa domanda è stata data da uno dei maggiori studi epidemiologici mai compiuti al mondo; esso prende il nome di "Progetto Cina".
Nell'immagine che vedete abbiamo due individui obesi, o comunque sulla buona strada, e il loro apporto calorico giornaliero; le altre due persone rappresentate, invece, possiedono un fisico sano e longilineo ma stranamente le calorie da loro assunte sono superiori. Ho scelto appositamente due soggetti di chiare origini orientali perchè il Progetto Cina si è basato sullo studio dell'alimentazione cinese, o meglio della Cina rurale della fine del secolo scorso.
Il modello dietetico cinese comportava un apporto calorico complessivo maggiore rispetto a quello occidentale, a fronte di meno grassi, meno proteine, di una quantità minore di cibi animali e maggiore di fibre. Considerando gli stereotipi di un classico americano ed un asiatico possiamo notare come non ci sia una perfetta correlazione tra calorie e "girovita". In molti risponderanno che è l'attività fisica ad incidere, ma in realtà lo sport può spiegare solo in parte questo paradosso.
L'alimentazione asiatica comprendeva il triplo dei carboidrati e solo un terzo dei grassi assunti rispetto alla dieta  americana, usata come termine di paragone. Tutto ciò dimostra che non tutte le calorie sono uguali e che sarebbe riduttivo stilare una dieta solo in base al fabbisogno da raggiungere; esistono cibi cosiddetti termogenici e altri invece, ricchi di grasso, che si depositano facilmente sotto forma di tessuto adiposo; lo Studio Cina, però,  ha concentrato la sua attenzione su un gruppo più ampio di prodotti con incidenza su molte patologie, oltre che sull'obesità, vedremo in futuro di cosa si tratta.  

Dieta in Salute

sabato 17 novembre 2012

Il pomodoro, meglio se biologico.

Il pomodoro è una delle piante più coltivate nel mondo, il suo frutto, utilizzato inizialmente come ornamento, ha trovato il suo ruolo primario nella cucina ed in particolare come condimento di altri prodotti. In tutte le sue varietà, però, presenta delle proprietà forse uniche nel suo genere: ha un basso apporto calorico, un buon contenuto di carotene e di vitamine. Negli ultimi anni però è stato definito un "cibo funzionale" nella lotta alle malattie cardiovascolari e cancro; questo poichè ricco di polifenoli e licopene, delle sostanze con caratteristiche antiproliferative per il tumore. 
Oltre a favorire la salute della nostra pelle e della vista, depura il sangue, favorisce la diuresi e, in alcuni casi, aiuta la digestione. Come in tutti i casi, però, le quantità contano notevolmente e ogni singolo individuo deve seguire una dieta "ideale" strettamente personale; il consumo di pomodoro è infatti sconsigliato a chi soffre di calcoli renali, per via del suo contenuto in acido ossalico, e a chi è predisposto verso l'artrite reumatoide.
Un recente lavoro pubblicato sul  'British Journal of Nutrition' della Cambridge University Press ha inoltre evidenziato come i nutrienti di questo frutto siano strettamente correlati al metodo di coltivazione. Le simbiosi fungine che si instaurano in una coltura biologica, infatti, ne aumentano il valore nutrizionale, comportando dei maggiori livelli di minerali ed in particolar modo di licopene.
Ecco un altro esempio di come l'industria alimentare stia gravemente incidendo sulla qualità dei nostri prodotti, sarebbe opportuno per ognuno di noi possedere un piccolo orto dove coltivare dei prodotti di alta qualità.  

Dieta in Salute

mercoledì 14 novembre 2012

Troppe calorie danno alla testa!!!

Conosciamo tutti come un eccessivo apporto calorico possa causare dei danni gravi a molti sistemi del nostro organismo, ma nessuno, fino a qualche tempo fa, poteva immaginare che ciò potesse minare seriamente la salute del nostro sistema nervoso.

lunedì 12 novembre 2012

Lo iodio e la tiroide

Lo iodio è un elemento fondamentale per il funzionamento del nostro organismo ed in particolare per la tiroide. Tra le secrezioni principali di questa ghiandola occorre ricordare gli ormoni tiroidei T3 e T4, dei prodotti che svolgono moltissime funzioni a livello metabolico. Lo iodio viene utilizzato nella biosintesi di questi ormoni quindi una dieta che non ne apporta dei valori ottimali può causare gravi problemi.
Patologie da carenza di iodio erano molto comuni in passato ed in particolare lontano dalle coste, questo perchè il mare, come sappiamo, è un ambiente molto ricco così come tutti i suoi prodotti. Inoltre i terreni, che assumono le caratteristiche delle acque che li bagnano, influenzano i livelli di minerale contenuti nei prodotti vegetali nonchè degli animali che di essi si cibano. Con il tempo per fortuna è stata evidenziata l'importanza di questo elemento, fino ad arrivare all'integrazione a prodotti di uso quotidiano come nel caso del sale iodato.
Sono molti i sintomi più o meno gravi che possono indicarci una carenza di iodio: stanchezza, mancanza di concentrazione, sonnolenza, apatia, secchezza della cute e crescita di peso; in alcuni casi potremmo anche avere la formazione del gozzo, uno dei fattori caratteristici di alcune tireopatie; nei bambini non sono rare forme di cretinismo o nanismo.
Il fabbisogno di 150 mcg al giorno può essere facilmente soddisfatto attraverso il pesce o altri prodotti  di origine animale, per quanto riguarda la frutta e gli ortaggi sarà invece necessario appurare l'apporto di iodio del terreno di coltivazione. Altri alimenti molto ricchi sono le alghe come il fucus e la laminaria che, per la loro influenza sul metabolismo, vengono utilizzate per la produzione di cosmetici dimagranti o i cosiddetti brucia-grassi.
E' importante però ricordare che, pur non manifestando gravi sintomi, anche un eccesso di questo minerale può ledere la nostra salute, quindi non occorre mai superare i valori di 500-600 mcg al giorno; bisogna inoltre evidenziare come la donna gravida o in fase di allattamento necessita di un apporto un pò più elevato per prevenire l'insorgenza di alcune patologie infantili.

Dieta in Salute

giovedì 1 novembre 2012

L'alfabeto delle vitamine (Parte II)

Dopo il precedente post dedicato alle vitamine liposolubili è arrivato il momento di parlare di un altro gruppo di sostanze altrettanto fondamentali; le vitamine idrosolubili comprendono molecole di diversa natura che non raggiungeranno mai delle concentrazioni tossiche per l'organismo ma che per lo stesso motivo non formeranno depositi, la loro assunzione dovrà, quindi, essere regolare nel tempo.
Inizilamente correlata ad una patologia definita beriberi la vitamina B è stata trattata spesso come una singola sostanza, per poi scoprire negli anni un insieme di molecole riunite in un unico complesso. La vitamina B1 entra nei processi attraverso i quali il nostro organismo ottiene energia, per questo una sua carenza colpisce subito il  sistema nervoso e cardiaco; l'ipovitaminosi può essere causata da un carente apporto alimentare o da un aumentato fabbisogno, soprattutto durante la febbre o la gravidanza. In condizioni normali i valori di assunzione dovranno raggiungere 0,6-2,3 mg al giorno ma sarà semplice soddisfarli grazie al consumo di vegetali, lievito e soprattuto germe di grano, una porzione del chicco che viene conservata solo nei cereali integrali.
La B6 è una componente enzimatica che interessa, in tutta la sua varietà, il nostro metabolismo; scendere sotto il fabbisogno di 2mg/giorno può comportare apatia, depressione e invecchiamento precoce, nei casi più gravi anemia e abbassamento delle difese immunitarie. Gli alimenti più ricchi apparterranno, anche questa volta, al regno vegetale e ai lieviti, ma discrete quote si troveranno nel fegato, nel tuorlo dell'uovo e nel merluzzo. 
La nicotinamide, chiamata spesso vitamina PP per la sua associazione con la pellagra, appartiene a numerosissimi complessi enzimatici; la sua sintesi inizia a partire da un amminoacido, il triptofano, carente in quelle popolazioni che si nutrono esclusivamente di farina di mais. La cute di chi soffre di pellagra diventa rossa, secca e rugosa, le mucose si infiammano e il sistema nervoso comincia a dar dei problemi. Basta soddisfare, però, i 10-20mg/giorno richiesti per far regredire i sintomi e ritornare ad una vita normale. 
La vitamina B12 è forse una delle più discusse, soprattutto nelle argomentazioni di chi critica una dieta esclusivamente vegetariana; questa sostanza, infatti, si trova esclusivamente nei prodotti animali poichè i vari trattamenti che subiscono i vegetali tendono a rimuoverla. Si può trovare sotto varie forme e precursori che, in alcuni casi, formano dei depositi di riserva che durano anche 6 anni. Per questo sono molto rari i casi di ipovitaminosi dovuta all'alimentazione; questa condizione colpisce, in particolare, i tessuti a crescita rapida come gli organi ematopoietrici che producono le cellule del sangue. Alcune carenze sono da  collegarsi alla mancanza di un fattore intrinseco prodotto dalla mucosa dello stomaco, questo causa una eritropoiesi errata con formazione di globuli rossi deficitari e l'instaurazione di una patologia che prende il nome di anemia perniciosa.
L'acido folico è una provitamina che può essere convertita nella sua forma attiva solo in presenza di vitamina C e B12. Il suo fabbisogno è di circa 0,2 mg/giorno che, in condizioni normali, viene soddisfatto dall'azione di alcuni batteri intestinali; i cibi maggiormente ricchi sono il lievito e il fegato ma, data la notevole importanza, è diventato molto comune assumerlo sotto forma di integratori o aggiunto ad altri alimenti. Negli anni è stato visto come una carenza di questa molecola può incidere sul corretto sviluppo  del feto; durante la gravidanza aumenta notevolmente la richiesta di acido folico che, in caso contrario, può gravemente danneggiare il sistema neuronale del piccolo; per questo motivo il ginecologo lo prescrive 3 mesi prima di un eventuale concepimento o durante altri trattamenti che prevedono l'uso di ormoni femminili.
La vitamina C è un acido (ascorbico) che attiva molti enzimi e ci protegge dalle carenze di altre vitamine; è necessario nella biosintesi degli ormoni surrenali ed entra in gioco nella formazione degli anticorpi. Per questa varietà di funzioni, quindi, il suo apporto quotidiano è fondamentale e presenta dei valori superiori rispetto ad altre sostanze. I 30mg/giorno raccomandati devono essere soddisfatti attraverso il consumo di frutta e verdura; cavoli, spinaci peperoni, pomodori e agrumi ne sono ricchi oltre che preferibili agli integratori. Molte ricerche hanno evidenziato come il nostro organismo, per un "errore" di evoluzione, non sia più in grado di sintetizzare questo prodotto autonomamente, ma studi condotti su pazienti con un'alimentazione priva di vitamina C hanno dimostrato come questo non sia del tutto vero. Esistono individui, soprattutto di sesso femminile, che sono meno sensibili a delle forme di ipovitaminosi C, contrastando i sintomi caratteristici che spesso colpiscono il sesso maschile.
Con questo abbiamo concluso il nostro viaggio nel mondo delle vitamine; ovviamente non abbiamo parlato di tutte le sostanze che il nostro organismo utilizza, ma solo di quelle che presentano una notevole importanza fisiologica e nutrizionale. Esistono infatti innumerevoli molecole che il nostro corpo riesce a produrre o che si trovano in moltissimi alimenti, a tal punto da non presentare mai forme di carenza.

Dieta in Salute

mercoledì 31 ottobre 2012

L'alfabeto delle vitamine


Le vitamine sono delle sostanze di cui l'organismo necessita poichè non è in grado di sintetizzarle o riesce a farlo solo in minime dosi. Sono delle molecole fondamentali che rientrano in molti processi metabolici, spesso coadiuvando l'azione di un determinato enzima; la loro assenza, infatti, risulta spesso molto grave bloccando alcune specifiche funzioni dell'organismo.
Sono molteplici e non racchiudono un unico gruppo di macromolecole, possono essere di natura proteica o lipidica, conservarsi in alcuni organi o "girare" attraverso il plasma; il loro nome significa ammine della vita poichè le prime ad essere isolate contenevano azoto, oggi però si sa che questo termine non è idoneo ad alcune sostanze dunque si sta sempre più abbandonando questa classificazione a favore di una terminologia più specifica.
Possiamo dividerle in due grandi gruppi: le vitamine liposolubili (A,D, E ed F) formano dei depositi nei tessuti e possono essere tossiche se assunte in grandi quantità; quelle idrosolubili, invece, non sempre si depositano non raggiungendo mai dei valori dannosi all'organismo.
La vitamina A, chiamata anche retinolo, deriva dal regno animale mentre otteniamo dai vegetali un suo precursore, il carotene, caratteristico di verdure a foglia verde scura e frutti o ortaggi di colorazione arancione. Si immagazzina nel fegato dove può formare dei depositi utili a soddifsfare il fabbisogno di 0,75-0,9 mg per circa sei mesi, andando incontro a fenomeni di ipovitamosi dovuti a carenze alimentari. Un uovo o pochi grammi di fegato riescono da soli a soddisfarne la richiesta, mentre per assumerla da carote o spinaci sono necessari circa 100 grammi; gli ipotiroidei avranno delle difficoltà a metabolizzare il carotene, quindi questa patologia è spesso accompagnata da una forma di ipovitaminosi A non correlata all'alimentazione.
Uno dei sintomi principali che manifesta una carenza di questa sostanza è il lento adattamento ai cambiamenti di luce, soprattutto durante la notte, questo succede perchè la retina ne è molto ricca; al contrario, dei valori normali riducono il rischio aterosclerotico, conferiscono proprietà antiallergiche e riducono la secchezza della cute.
L'ipovitaminosi D è forse la più diffusa, soprattuto nei paesi e nelle grandi metropoli dove il sole è spesso coperto da fenomeni atmosferici o coltri di fumo; i raggi ultravioletti sono, infatti, importanti nei processi di biosintesi e il fabbisogno di circa 100 UI/giorno è quasi interamente coperto con una normale e frequente esposizione al sole.
Nei bambini una carenza può determinare rachitismo, una patologia che interessa i processi di calcificazione delle ossa rendendole più fragili; gli adulti maggiormente a rischio sono, invece, le donne incinte o durante l'allattamento poichè la richiesta raggiunge le 400 UI/giorno, in questo caso si parlerà di osteomalacia ma i sintomi saranno del tutto simili al rachitismo. Tra gli alimenti più ricchi occorre ricordare uova, funghi, aringhe e sardine.
Il tocoferolo, meglio conosciuto come vitamina E, viene spesso associato alla fertilità di un individuo perchè dei valori non ottimali minano soprattutto le funzioni riproduttive. E' poco abbondante nei cibi di origine animale ma fortemente presente in piante verdi, noci e cereali, dove si concentra nella crusca come molte altre molecole essenziali. Occorre quindi preferire il consumo di frumento, grano, riso o avena integrale per favorire degli effetti antiossidanti, antiemolitici e protettivi della gravidanza. Il fabbisogno, in questo caso, dev'essere interamente soddisfatto con la dieta, consumando circa 150 grammi di cereali, 10 ml di olio di semi di lino o soli 2 ml di olio di germe di grano.
La vitamina F rappresenta un gruppo di acidi grassi polinsaturi, tra cui l'acido linoleico e l'acido arachidonico, indispensabili poichè l'organismo non riesce a sintetizzarli, o meglio riesce a produrre il secondo solo in presenza del primo. Una loro carenza si presenta con effetti molto vari perchè queste sostanze entrano nei processi di formazione e regolazione delle prostaglandine; sete, secchezza della cute a una predisposizione alle allergie rappresentano i sintomi meno gravi ma alcuni pazienti possono manifestare infezioni, malattie dei vasi o addirittura tumori.
Abbiamo finora preso in esame solo alcune vitamine tra quelle liposolubili, occorre ricordare che un' assunzione eccessiva, spesso attraverso integratori, può risultare tossica; consiglio quindi di preferire sempre le sostanze di origine alimentare e vi rimando al prossimo post per conoscere molte altre lettere di questo particolare "alfabeto".  

 
Dieta in Salute

sabato 27 ottobre 2012

Il ferro e l'anemia

Il ferro è un micronutriente con molti ruoli biologici ma che deve la sua fama alla sintesi di emoglobina e alla produzione dei globuli rossi. Ovviamente questo elemento risulta essere una delle componenti di molte altre molecole, come la mioglobina e la clorofilla, e il coinvolgimento con alcune forme di anemia lo ha messo al centro di innumerevoli dibattiti sulla sua reale importanza.
L'anemia sideropenica è una patologia strettamente correlata alla carenza di ferro ma, al contrario di quanto si possa pensare, sono pochi i casi in cui questa sia dovuta ad un'alimentazione sbagliata. Come detto in precedenza, il ferro entra in gioco nell'eritropoiesi, il processo che nel midollo osseo porta alla formazione dei globuli rossi; queste cellule anucleate hanno una vita media di circa 120 giorni e confrontando i loro meccanismi di produzione e degradazione si nota come si possano perdere fino a 2 mg di ferro al giorno. Questa quota è decisamente esigua rispetto ai circa 4 grammi totali contenuti dall'organismo, ma deve comunque essere assunta attraverso la dieta; da questo si può intuire come la maggior parte delle cause di anemia sideropenica siano da ricercare in perdite ematiche. Per questo motivo le donne in età fertile e gli individui con patologie a livello del tubo digerente, che comportano lievi ma continue perdite di sangue, rappresentano il soggetto anemico tipico. Questi pazienti dovranno quindi controllare i livelli di ferro attraverso l'alimentazione e solo in alcuni casi sarà utile la somministrazione di integratori.
Esistono molti cibi, sia di origine animale che vegetale, che contengono ottimi livelli di ferro ma alcune variabili rendono ogni alimento diverso da un altro. In primo luogo questo nutriente può trovarsi sotto forma di ferro eme e ferro non eme; il primo è esclusivo dei cibi animali e viene assorbito nell'intestino con maggiore facilità, il secondo invece è contenuto anche nei vegetali ma richiede delle reazioni aggiuntive per essere metabolizzato. Per questo motivo prodotti molto ricchi di ferro, come gli spinaci, hanno una limitata biodisponibilità rispetto alla carne o al pesce; sono quindi necessarie maggiori quantità per soddisfarne il fabbisogno quotidiano.
Esistono, però, delle particolari associazioni che possono favorire o inibire l'assorbimento; l'acido ascorbico, meglio conosciuto come vitamina C, permette la riduzione a ioni ferrosi migliorando la biodisponibilità; prodotti come il tè o il caffè, invece, si comportano esattamente in maniera inversa, dunque il loro consumo deve avvenire lontano dai pasti. Sarà utile, quindi, condire sia le carni che le verdure con succo di limone, consumare frequentemente legumi e accompagnare i cereali con dell'ottimo succo d'arancia. Questi semplici consigli sono utili per ridurre al minimo l'utilizzo di integratori, prescritti per curare alcuni casi di anemie; bisogna infatti precisare che dosi eccessive di ferro risultano essere tossiche per l'organismo e in particolare per il fegato.
A seguire troverete una tabella che riassume i livelli di ferro contenuti in alcuni alimenti, questi valori, però, non tengono conto della biodisponibilità; ricordiamo quindi che solo il 2-10% di ferro dei vegetali è assorbito, il tasso è notevolmente superiore nei cibi animali e può raggiungere anche il 35%., Questo può essere utilizzato per soddisfare il fabbisogno giornaliero di 2 mg, ma è opportuno, soprattutto in casi fisiopatologici, rivolgersi ad uno specialista.
 

Alimento

Apporto di ferro per 100g di prodotto
Carne

1-2,5mg
Fegato

8-18mg
Latte

0,1mg
Uova

1,5mg
Spinaci

3mg
Legumi

8mg
Cereali

≈10mg
Frutti di mare

>20mg

 
 
Dieta in Salute

giovedì 25 ottobre 2012

Il colesterolo e i suoi mille volti...

Il colesterolo è uno sterolo che svolge innumerevoli funzioni sia a livello cellulare che nella biosintesi di molti ormoni. Occorre però esaminare con cura questo composto, studiarne le origini e le diverse forme per avere una visione più chiara dei rischi che può apportare alla nostra salute.
Esso può essere di derivazione esogena, quindi sostanzialmente contenuto negli alimenti, o endogena se prodotto dallo stesso organismo ed in particolare dal fegato.
Al contrario di quanto si possa credere solo il 20% del colesterolo totale è di origine endogena, per lo più questi valori si raggiungono solo in individui che non seguono un' alimentazione sana; il nostro corpo, infatti, riesce a produrne fino all' 85% in relazione alla quantità assunta.
Il colesterolo, non essendo idrosolubile, viene veicolato nel sangue sotto forma di molecole complesse che prendono il nome di lipoproteine, esse hanno caratteristiche diverse che ci permetteranno di definire questo sterolo “buono” o “cattivo”. Il colesterolo LDL, a bassa densità, è considerato quello dannoso poiché possiede un'elevata affinità per le cellule endoteliali delle arterie formando, insieme all'azione dei radicali liberi, la placca aterosclerotica. L'HDL, invece, può essere paragonato ad uno spazzino perché preleva il colesterolo dall'endotelio e lo riconduce al fegato.
Fino a qualche anno fa era assodata l'associazione tra ipercolesterolemia e un maggior rischio cardiovascolare; successivamente è stato chiarito come questo non sia l'unico fattore, dev'essere infatti affiancato da altre cattive abitudini come il fumo o la poca attività fisica; infine si è visto come il valore reale da considerare non sia tanto quello relativo al colesterolo totale, bensì il rapporto tra questo e il colesterolo HDL. Il parametro ottenuto non deve superare 5 nell'uomo e 4,5 nella donna, in caso contrario il paziente deve tenere sotto controllo la salute del proprio cuore.
Come detto in precedenza, la quantità di colesterolo assunto con la dieta influenza solo relativamente i livelli ematici totali, quindi risulta essere molto difficile un controllo di questi valori esclusivamente attraverso l'alimentazione. In secondo luogo, sono pochi gli esempi di alimenti che aumentano notevolmente il colesterolo LDL a scapito di HDL; in passato sono stati spesso accusati i grassi saturi, mentre studi recenti hanno visto come i veri nemici siano i grassi idrogenati come margarine ed oli vegetali; questi prodotti infatti vantano la nomina di “colesterolo free” ma non sono affatto salutari e consigliabili.
Si è inoltre valutata l'azione degli estrogeni che difendono le donne pre-menopausa dal rischio cardiovascolare, così come l'assunzione di fibre, antiossidanti e fitoestrogeni apportati da molti vegetali.
Il modo migliore per aumentare il cosiddetto colesterolo buono è quindi da ricercare nello stile di vita; una corretta attività fisica aerobica, tenersi lontano dal fumo e da un consumo eccessivo di carboidrati, preferire il consumo di acidi grassi insaturi, come quelli descritti nel post precedente, possono ridurre notevolmente l'incidenza di alcune patologie, aiutandoci a contrastare una delle piaghe del nuovo millennio.
Vorrei concludere aprendo una piccola finestra su delle ricerche recenti o ancora in corso; si sta verificando l'azione delle proteine animali sui livelli di colesterolo, confrontandola alle proteine vegetali. Molti risultati vanno notevolmente contro il primo gruppo di alimenti che, oltre ad aumentare il rischio cardiovascolare, sembra possano avere un ruolo importante nello sviluppo di alcuni tipi di tumore. 
 
Dieta in Salute       

lunedì 22 ottobre 2012

I grassi "buoni" e quelli "cattivi"...

I lipidi sono macromolecole organiche che, se assunti con la dieta, conferiscono il maggior apporto calorico e forniscono 9 kcal/g. Insieme ai carboidrati saranno quindi utilizzati come fonte energetica e allo stesso modo andranno a formare dei depositi sotto forma di tessuto adiposo.
I grassi si possono trovare sia in alimenti di origine animale che vegetale; i primi ne saranno ricchi, mentre i secondi, tranne alcune eccezioni, apporteranno dei valori più equilibrati. Secondo le linee guida, che suggeriscono come condurre una dieta sana, il fabbisogno energetico di lipidi non deve superare mai il 30%; ad esempio, se il fabbisogno di un individuo sarà di 2000kcal, egli non potrà assumere più di 65 g di grassi contenuti negli alimenti.

Alimento

% calorie derivate da grassi
Burro

100%
Doppio cheeseburger

67%
Latte vaccino intero

64%
Prosciutto

61%
Hot dog

54%
Semi di soia

42%
Latte scremato (2%)

35%
Pollo

26%
Spinaci

14%
Cereali

8%
Latte scremato

5%
Piselli

5%
Carote

4%
Fagiolini

4%
Patate al cartoccio

1%

Tralasciando i numeri, di cui si occupano gli specialisti, possiamo affermare che con un doppio cheeseburger di McDonald's o "soli" 60 grammi di burro, aggiunti al nostro dolce, riusciamo a superare la quantità suggerita.
I lipidi però non sono tutti uguali e non tutti i cibi ne possiedono i giusti valori; i maggiori rappresentanti prendono il nome di acidi grassi, delle catene di acidi carbossilici che solitamente si trovano esterificate ad altre componenti più complesse. I legami che tengono uniti gli atomi di carbonio che formano la catena posso essere "semplici" o "doppi", in relazione alla natura di queste interazioni possiamo dividere i grassi in: acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi.
I primi rappresentano un fattore di rischio, se assunti senza moderazione, per alcuni disturbi cardiovascolari e possono portare a manifestazioni come l'angina pectoris o ,in casi più gravi, infarto ed ictus. Considerando queste evidenze, si tende a consigliare un apporto energetico dei suddetti pari ad un terzo dell'intero fabbisogno energetico apportato dai grassi.
I monoinsaturi possiedono un unico doppio legame all'interno della catena, questo determina delle modifiche conformazionali dell'intera molecola che impediscono una struttura solida, così da determinare dei prodotti esclusivamente fluidi e facilmente digeribili. L'acido oleico, contenuto nell'olio d'oliva, è il maggior rappresentante e, essendo molto resistente al calore e alle ossidazioni, protegge i prodotti che lo contengono. E' stato visto come un apporto elevato di questo composto, seppur sempre entro i limiti sopra citati, agisce contrastando gli effetti dei grassi saturi, diminuendo il livello di colesterolo "cattivo" nel sangue e riducendo il rischio di malattie cardiache. E' importante però non estendere queste proprietà ad altri elementi dello stesso gruppo (acido erucico e palmitoleico), in quanto hanno degli effetti negativi.
Concludiamo parlando degli acidi grassi polinsaturi che presentano una struttura con più doppi legami; possiamo dividere ulteriormente questo insieme in relazione alla posizione del primo carbonio insaturo: gli acidi omega 3, caratteristici di prodotti che derivano dal mare oltre che dai semi di lino, abbassano i livelli di colesterolo cattivo, aumentando il rapporto a favore di quello "buono"; riducono i trigliceridi nel sangue allontanando il rischio di eventi cardiaci; rappresentano un probabile fattore protettivo per alcuni tumori. Gli omega 6 sono diffusi in tutto il mondo vegetale, per questo motivo sono rari i casi di insufficienza, si trovano soprattutto negli oli di girasole, arachidi e mais e apportano gli stessi benefici degli omega 3.
Il valore realmente importante, però, è il rapporto tra questi due tipi di grasso; per questo si consiglia di consumare pesce abitualmente riducendolo da un attuale 1:10 ad 1:2 (omega 3/omega 6).
Abbiamo visto e conosciuto il vastissimo mondo dei lipidi, come essi non siano soltanto i nemici della "linea" ma anche della salute, è opportuno quindi sapere i benefici e i rischi in cui incorriamo per migliorare il nostro stile di vita e prevenire le cosiddette "malattie del benessere".


  
Dieta in Salute