mercoledì 31 ottobre 2012

L'alfabeto delle vitamine


Le vitamine sono delle sostanze di cui l'organismo necessita poichè non è in grado di sintetizzarle o riesce a farlo solo in minime dosi. Sono delle molecole fondamentali che rientrano in molti processi metabolici, spesso coadiuvando l'azione di un determinato enzima; la loro assenza, infatti, risulta spesso molto grave bloccando alcune specifiche funzioni dell'organismo.
Sono molteplici e non racchiudono un unico gruppo di macromolecole, possono essere di natura proteica o lipidica, conservarsi in alcuni organi o "girare" attraverso il plasma; il loro nome significa ammine della vita poichè le prime ad essere isolate contenevano azoto, oggi però si sa che questo termine non è idoneo ad alcune sostanze dunque si sta sempre più abbandonando questa classificazione a favore di una terminologia più specifica.
Possiamo dividerle in due grandi gruppi: le vitamine liposolubili (A,D, E ed F) formano dei depositi nei tessuti e possono essere tossiche se assunte in grandi quantità; quelle idrosolubili, invece, non sempre si depositano non raggiungendo mai dei valori dannosi all'organismo.
La vitamina A, chiamata anche retinolo, deriva dal regno animale mentre otteniamo dai vegetali un suo precursore, il carotene, caratteristico di verdure a foglia verde scura e frutti o ortaggi di colorazione arancione. Si immagazzina nel fegato dove può formare dei depositi utili a soddifsfare il fabbisogno di 0,75-0,9 mg per circa sei mesi, andando incontro a fenomeni di ipovitamosi dovuti a carenze alimentari. Un uovo o pochi grammi di fegato riescono da soli a soddisfarne la richiesta, mentre per assumerla da carote o spinaci sono necessari circa 100 grammi; gli ipotiroidei avranno delle difficoltà a metabolizzare il carotene, quindi questa patologia è spesso accompagnata da una forma di ipovitaminosi A non correlata all'alimentazione.
Uno dei sintomi principali che manifesta una carenza di questa sostanza è il lento adattamento ai cambiamenti di luce, soprattutto durante la notte, questo succede perchè la retina ne è molto ricca; al contrario, dei valori normali riducono il rischio aterosclerotico, conferiscono proprietà antiallergiche e riducono la secchezza della cute.
L'ipovitaminosi D è forse la più diffusa, soprattuto nei paesi e nelle grandi metropoli dove il sole è spesso coperto da fenomeni atmosferici o coltri di fumo; i raggi ultravioletti sono, infatti, importanti nei processi di biosintesi e il fabbisogno di circa 100 UI/giorno è quasi interamente coperto con una normale e frequente esposizione al sole.
Nei bambini una carenza può determinare rachitismo, una patologia che interessa i processi di calcificazione delle ossa rendendole più fragili; gli adulti maggiormente a rischio sono, invece, le donne incinte o durante l'allattamento poichè la richiesta raggiunge le 400 UI/giorno, in questo caso si parlerà di osteomalacia ma i sintomi saranno del tutto simili al rachitismo. Tra gli alimenti più ricchi occorre ricordare uova, funghi, aringhe e sardine.
Il tocoferolo, meglio conosciuto come vitamina E, viene spesso associato alla fertilità di un individuo perchè dei valori non ottimali minano soprattutto le funzioni riproduttive. E' poco abbondante nei cibi di origine animale ma fortemente presente in piante verdi, noci e cereali, dove si concentra nella crusca come molte altre molecole essenziali. Occorre quindi preferire il consumo di frumento, grano, riso o avena integrale per favorire degli effetti antiossidanti, antiemolitici e protettivi della gravidanza. Il fabbisogno, in questo caso, dev'essere interamente soddisfatto con la dieta, consumando circa 150 grammi di cereali, 10 ml di olio di semi di lino o soli 2 ml di olio di germe di grano.
La vitamina F rappresenta un gruppo di acidi grassi polinsaturi, tra cui l'acido linoleico e l'acido arachidonico, indispensabili poichè l'organismo non riesce a sintetizzarli, o meglio riesce a produrre il secondo solo in presenza del primo. Una loro carenza si presenta con effetti molto vari perchè queste sostanze entrano nei processi di formazione e regolazione delle prostaglandine; sete, secchezza della cute a una predisposizione alle allergie rappresentano i sintomi meno gravi ma alcuni pazienti possono manifestare infezioni, malattie dei vasi o addirittura tumori.
Abbiamo finora preso in esame solo alcune vitamine tra quelle liposolubili, occorre ricordare che un' assunzione eccessiva, spesso attraverso integratori, può risultare tossica; consiglio quindi di preferire sempre le sostanze di origine alimentare e vi rimando al prossimo post per conoscere molte altre lettere di questo particolare "alfabeto".  

 
Dieta in Salute

sabato 27 ottobre 2012

Il ferro e l'anemia

Il ferro è un micronutriente con molti ruoli biologici ma che deve la sua fama alla sintesi di emoglobina e alla produzione dei globuli rossi. Ovviamente questo elemento risulta essere una delle componenti di molte altre molecole, come la mioglobina e la clorofilla, e il coinvolgimento con alcune forme di anemia lo ha messo al centro di innumerevoli dibattiti sulla sua reale importanza.
L'anemia sideropenica è una patologia strettamente correlata alla carenza di ferro ma, al contrario di quanto si possa pensare, sono pochi i casi in cui questa sia dovuta ad un'alimentazione sbagliata. Come detto in precedenza, il ferro entra in gioco nell'eritropoiesi, il processo che nel midollo osseo porta alla formazione dei globuli rossi; queste cellule anucleate hanno una vita media di circa 120 giorni e confrontando i loro meccanismi di produzione e degradazione si nota come si possano perdere fino a 2 mg di ferro al giorno. Questa quota è decisamente esigua rispetto ai circa 4 grammi totali contenuti dall'organismo, ma deve comunque essere assunta attraverso la dieta; da questo si può intuire come la maggior parte delle cause di anemia sideropenica siano da ricercare in perdite ematiche. Per questo motivo le donne in età fertile e gli individui con patologie a livello del tubo digerente, che comportano lievi ma continue perdite di sangue, rappresentano il soggetto anemico tipico. Questi pazienti dovranno quindi controllare i livelli di ferro attraverso l'alimentazione e solo in alcuni casi sarà utile la somministrazione di integratori.
Esistono molti cibi, sia di origine animale che vegetale, che contengono ottimi livelli di ferro ma alcune variabili rendono ogni alimento diverso da un altro. In primo luogo questo nutriente può trovarsi sotto forma di ferro eme e ferro non eme; il primo è esclusivo dei cibi animali e viene assorbito nell'intestino con maggiore facilità, il secondo invece è contenuto anche nei vegetali ma richiede delle reazioni aggiuntive per essere metabolizzato. Per questo motivo prodotti molto ricchi di ferro, come gli spinaci, hanno una limitata biodisponibilità rispetto alla carne o al pesce; sono quindi necessarie maggiori quantità per soddisfarne il fabbisogno quotidiano.
Esistono, però, delle particolari associazioni che possono favorire o inibire l'assorbimento; l'acido ascorbico, meglio conosciuto come vitamina C, permette la riduzione a ioni ferrosi migliorando la biodisponibilità; prodotti come il tè o il caffè, invece, si comportano esattamente in maniera inversa, dunque il loro consumo deve avvenire lontano dai pasti. Sarà utile, quindi, condire sia le carni che le verdure con succo di limone, consumare frequentemente legumi e accompagnare i cereali con dell'ottimo succo d'arancia. Questi semplici consigli sono utili per ridurre al minimo l'utilizzo di integratori, prescritti per curare alcuni casi di anemie; bisogna infatti precisare che dosi eccessive di ferro risultano essere tossiche per l'organismo e in particolare per il fegato.
A seguire troverete una tabella che riassume i livelli di ferro contenuti in alcuni alimenti, questi valori, però, non tengono conto della biodisponibilità; ricordiamo quindi che solo il 2-10% di ferro dei vegetali è assorbito, il tasso è notevolmente superiore nei cibi animali e può raggiungere anche il 35%., Questo può essere utilizzato per soddisfare il fabbisogno giornaliero di 2 mg, ma è opportuno, soprattutto in casi fisiopatologici, rivolgersi ad uno specialista.
 

Alimento

Apporto di ferro per 100g di prodotto
Carne

1-2,5mg
Fegato

8-18mg
Latte

0,1mg
Uova

1,5mg
Spinaci

3mg
Legumi

8mg
Cereali

≈10mg
Frutti di mare

>20mg

 
 
Dieta in Salute

giovedì 25 ottobre 2012

Il colesterolo e i suoi mille volti...

Il colesterolo è uno sterolo che svolge innumerevoli funzioni sia a livello cellulare che nella biosintesi di molti ormoni. Occorre però esaminare con cura questo composto, studiarne le origini e le diverse forme per avere una visione più chiara dei rischi che può apportare alla nostra salute.
Esso può essere di derivazione esogena, quindi sostanzialmente contenuto negli alimenti, o endogena se prodotto dallo stesso organismo ed in particolare dal fegato.
Al contrario di quanto si possa credere solo il 20% del colesterolo totale è di origine endogena, per lo più questi valori si raggiungono solo in individui che non seguono un' alimentazione sana; il nostro corpo, infatti, riesce a produrne fino all' 85% in relazione alla quantità assunta.
Il colesterolo, non essendo idrosolubile, viene veicolato nel sangue sotto forma di molecole complesse che prendono il nome di lipoproteine, esse hanno caratteristiche diverse che ci permetteranno di definire questo sterolo “buono” o “cattivo”. Il colesterolo LDL, a bassa densità, è considerato quello dannoso poiché possiede un'elevata affinità per le cellule endoteliali delle arterie formando, insieme all'azione dei radicali liberi, la placca aterosclerotica. L'HDL, invece, può essere paragonato ad uno spazzino perché preleva il colesterolo dall'endotelio e lo riconduce al fegato.
Fino a qualche anno fa era assodata l'associazione tra ipercolesterolemia e un maggior rischio cardiovascolare; successivamente è stato chiarito come questo non sia l'unico fattore, dev'essere infatti affiancato da altre cattive abitudini come il fumo o la poca attività fisica; infine si è visto come il valore reale da considerare non sia tanto quello relativo al colesterolo totale, bensì il rapporto tra questo e il colesterolo HDL. Il parametro ottenuto non deve superare 5 nell'uomo e 4,5 nella donna, in caso contrario il paziente deve tenere sotto controllo la salute del proprio cuore.
Come detto in precedenza, la quantità di colesterolo assunto con la dieta influenza solo relativamente i livelli ematici totali, quindi risulta essere molto difficile un controllo di questi valori esclusivamente attraverso l'alimentazione. In secondo luogo, sono pochi gli esempi di alimenti che aumentano notevolmente il colesterolo LDL a scapito di HDL; in passato sono stati spesso accusati i grassi saturi, mentre studi recenti hanno visto come i veri nemici siano i grassi idrogenati come margarine ed oli vegetali; questi prodotti infatti vantano la nomina di “colesterolo free” ma non sono affatto salutari e consigliabili.
Si è inoltre valutata l'azione degli estrogeni che difendono le donne pre-menopausa dal rischio cardiovascolare, così come l'assunzione di fibre, antiossidanti e fitoestrogeni apportati da molti vegetali.
Il modo migliore per aumentare il cosiddetto colesterolo buono è quindi da ricercare nello stile di vita; una corretta attività fisica aerobica, tenersi lontano dal fumo e da un consumo eccessivo di carboidrati, preferire il consumo di acidi grassi insaturi, come quelli descritti nel post precedente, possono ridurre notevolmente l'incidenza di alcune patologie, aiutandoci a contrastare una delle piaghe del nuovo millennio.
Vorrei concludere aprendo una piccola finestra su delle ricerche recenti o ancora in corso; si sta verificando l'azione delle proteine animali sui livelli di colesterolo, confrontandola alle proteine vegetali. Molti risultati vanno notevolmente contro il primo gruppo di alimenti che, oltre ad aumentare il rischio cardiovascolare, sembra possano avere un ruolo importante nello sviluppo di alcuni tipi di tumore. 
 
Dieta in Salute       

lunedì 22 ottobre 2012

I grassi "buoni" e quelli "cattivi"...

I lipidi sono macromolecole organiche che, se assunti con la dieta, conferiscono il maggior apporto calorico e forniscono 9 kcal/g. Insieme ai carboidrati saranno quindi utilizzati come fonte energetica e allo stesso modo andranno a formare dei depositi sotto forma di tessuto adiposo.
I grassi si possono trovare sia in alimenti di origine animale che vegetale; i primi ne saranno ricchi, mentre i secondi, tranne alcune eccezioni, apporteranno dei valori più equilibrati. Secondo le linee guida, che suggeriscono come condurre una dieta sana, il fabbisogno energetico di lipidi non deve superare mai il 30%; ad esempio, se il fabbisogno di un individuo sarà di 2000kcal, egli non potrà assumere più di 65 g di grassi contenuti negli alimenti.

Alimento

% calorie derivate da grassi
Burro

100%
Doppio cheeseburger

67%
Latte vaccino intero

64%
Prosciutto

61%
Hot dog

54%
Semi di soia

42%
Latte scremato (2%)

35%
Pollo

26%
Spinaci

14%
Cereali

8%
Latte scremato

5%
Piselli

5%
Carote

4%
Fagiolini

4%
Patate al cartoccio

1%

Tralasciando i numeri, di cui si occupano gli specialisti, possiamo affermare che con un doppio cheeseburger di McDonald's o "soli" 60 grammi di burro, aggiunti al nostro dolce, riusciamo a superare la quantità suggerita.
I lipidi però non sono tutti uguali e non tutti i cibi ne possiedono i giusti valori; i maggiori rappresentanti prendono il nome di acidi grassi, delle catene di acidi carbossilici che solitamente si trovano esterificate ad altre componenti più complesse. I legami che tengono uniti gli atomi di carbonio che formano la catena posso essere "semplici" o "doppi", in relazione alla natura di queste interazioni possiamo dividere i grassi in: acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi.
I primi rappresentano un fattore di rischio, se assunti senza moderazione, per alcuni disturbi cardiovascolari e possono portare a manifestazioni come l'angina pectoris o ,in casi più gravi, infarto ed ictus. Considerando queste evidenze, si tende a consigliare un apporto energetico dei suddetti pari ad un terzo dell'intero fabbisogno energetico apportato dai grassi.
I monoinsaturi possiedono un unico doppio legame all'interno della catena, questo determina delle modifiche conformazionali dell'intera molecola che impediscono una struttura solida, così da determinare dei prodotti esclusivamente fluidi e facilmente digeribili. L'acido oleico, contenuto nell'olio d'oliva, è il maggior rappresentante e, essendo molto resistente al calore e alle ossidazioni, protegge i prodotti che lo contengono. E' stato visto come un apporto elevato di questo composto, seppur sempre entro i limiti sopra citati, agisce contrastando gli effetti dei grassi saturi, diminuendo il livello di colesterolo "cattivo" nel sangue e riducendo il rischio di malattie cardiache. E' importante però non estendere queste proprietà ad altri elementi dello stesso gruppo (acido erucico e palmitoleico), in quanto hanno degli effetti negativi.
Concludiamo parlando degli acidi grassi polinsaturi che presentano una struttura con più doppi legami; possiamo dividere ulteriormente questo insieme in relazione alla posizione del primo carbonio insaturo: gli acidi omega 3, caratteristici di prodotti che derivano dal mare oltre che dai semi di lino, abbassano i livelli di colesterolo cattivo, aumentando il rapporto a favore di quello "buono"; riducono i trigliceridi nel sangue allontanando il rischio di eventi cardiaci; rappresentano un probabile fattore protettivo per alcuni tumori. Gli omega 6 sono diffusi in tutto il mondo vegetale, per questo motivo sono rari i casi di insufficienza, si trovano soprattutto negli oli di girasole, arachidi e mais e apportano gli stessi benefici degli omega 3.
Il valore realmente importante, però, è il rapporto tra questi due tipi di grasso; per questo si consiglia di consumare pesce abitualmente riducendolo da un attuale 1:10 ad 1:2 (omega 3/omega 6).
Abbiamo visto e conosciuto il vastissimo mondo dei lipidi, come essi non siano soltanto i nemici della "linea" ma anche della salute, è opportuno quindi sapere i benefici e i rischi in cui incorriamo per migliorare il nostro stile di vita e prevenire le cosiddette "malattie del benessere".


  
Dieta in Salute

sabato 20 ottobre 2012

Le proteine e la loro qualità.

Le proteine sono dei macronutrienti che, insieme a carboidrati e grassi, costituiscono la base di una sana e corretta alimentazione. Le loro molecole hanno delle dimensioni variabili anche se formate dagli stessi elementi base, ovvero gli amminoacidi. In relazione al tipo di amminoacidi che le compongono, alla loro sequenza e struttura avremo proteine diverse, capaci di adempiere funzioni notevolmente varie: possono comportarsi da enzimi, da trasportatorti oppure essere semplici elementi strutturali.
E' un errore comune quello di pensare che gli unici alimenti ricchi di proteine siano quelli di origine animale, in realtà non è così, infatti negli ultimi anni si sta provando ad eliminare questa credenza a favore di cibi vegetali ad alto contenuto proteico. L'unica differenza che divide questi due grandi gruppi alimentari risiede, infatti, nella "qualità" delle proteine, un termine non molto adatto ma che ci permette di capire facilmente di cosa si sta parlando. Con proteine di "alta qualità o valore biologico" si intendono molecole abbastanza simili a quelle utilizzate dal nostro organismo e quindi facilmente riutilizzabili; quelle definite "povere", invece, non hanno lo stesso grado di similarità.
Ogni individuo, attraverso la digestione, ottiene da ogni proteina assunta un pool di amminoacidi che, successivamente, riutilizza come una sorta di mattoncini per ricreare nuove strutture. I mattoncini forniti dagli alimenti di origine vegetale,  quindi proteine "povere", non sono sempre perfetti nell'attività rigenerativa, ma richiedono più tempo e dei processi metabolici intermedi; un'altra controindicazione sta nel dover assumere una certa varietà di alimenti per coprire il fabbisogno amminoacidico del nostro corpo.
Ma siamo davvero sicuri che questa "lentezza" e la "necessaria varietà" rappresentino un problema? Secondo me no, anzi dirò di più, sono due dei principi fondamentali per preservare la nostra salute attraverso la dieta.
Con questo non voglio indirizzarvi verso un tipo di alimentazione carnea o unicamente vegetale, sarebbe necessario approfondire molti altri argomenti, non solo scientifici ma anche etici; il mio obiettivo è quello di porre le proteine di origine vegetale sullo stesso livello di quelle animali, pur riconoscendo una maggiore affinità, ad esempio, a quelle derivanti da uova, latte e latticini.   
Un altro problema che mi sta molto a cuore riguarda lo sviluppo spropositato di diete iperproteiche, basate ovviamente sull'utilizzo, esclusivo o quasi, di cibi privi di grassi e carboidrati.
Trovo del tutto innaturale e irresponsabile i consigli, da parte di molti esperti, di questo regime alimentare, poichè si basa sull'instaurazione di un evento patologico, l'acidosi, che provoca dimagrimento.
Riconoscendo queste caratteristiche, che approfondiremo in un post successivo, mi sento di consigliare queste particolari diete solo a pazienti con casi limite e che non hanno avuto risultati con altri trattamenti. L'iperproteica, infatti, garantisce dei risultati sorprendenti e molto rapidi ma, se condotta erratamente e per molto tempo, può apportare seri danni a reni e fegato. 
Chiudo ricordando che l'apporto calorico proteico è di circa 4kcal/grammo e che, secondo le più comuni linee guida, l'assunzione di alimenti di natura proteica non deve superare il 15% del fabbisogno energetico giornaliero.

 
Dieta in Salute

giovedì 18 ottobre 2012

I carboidrati e l''indice glicemico

I carboidrati, meglio conosciuti come zuccheri, rappresentano un vasto gruppo di sostanze fondamentali per ogni organismo, in quanto rappresentano la principale fonte di energia.
Sono dei composti molto presenti negli alimenti seppur con forme e caratteristiche differenti: i cosiddetti zuccheri semplici sono monosaccaridi come il glucosio e il fruttosio, il primo è il composto organico più diffuso in natura, per cui è semplice trovarlo in molti cibi sia come singola unità che unito ad altre sostanze, formando molecole più complesse; il secondo invece, come fa notare lo stesso nome, si trova in molti frutti, vegetali e nel miele. I disaccaridi, anch'essi "semplici", si formano invece dalla condensazione di due monosaccaridi, in natura ne esistono diversi tra cui il saccarosio, il comune zucchero da cucina, il lattosio e il maltosio.
I carboidrati complessi, invece, rappresentano delle lunghe catene di polissaccaridi e richiedono una digestione più complessa prima di essere utilizzati. Il nostro organismo, infatti, utilizza come fonte di energia sostanzialmente il glucosio e per ottenerlo da questi composti più ramificati ha bisogno di maggior tempo. L'amido, la cellulosa e il glicogeno fanno parte di questo gruppo e si possono trovare in alimenti vegetali e animali (glicogeno).
Vorrei spendere qualche parola riguardo la cellulosa, un elemento fondamentale delle pareti cellulari degli organismi vegetali; essa è scarsamente digerita dal nostro apparato digerente per via dell'assenza di un particolare enzima, la cellulasi. Per questo non rappresenta una importante fonte energetica per l'uomo.
Una volta condotta questa panoramica sul vastissimo mondo degli zuccheri è necessario chiarire il significato del termine "indice glicemico", un parametro fondamentale per stilare un  dieta corretta sia dimagrante che in stati patologici. L'IG rappresenta la velocità con cui 50 grammi di un alimento fanno salire la glicemia, ovvero il livello di glucosio nel sangue; alimenti con un alto valore fanno alzare la glicemia e scatenano la cascata di segnali che porta alla secrezione di insulina, viceversa, prodotti con IG bassi mantengono il livello di glucosio nel sangue costante facilitando la regolazione del nostro organismo.
Ovviamente sappiamo quanto questo argomento sia importante, soprattutto per i diabetici, ma occorrerebbe un unico post per parlare di questa patologia, quindi per ora mi limito a dare delle piccole indicazioni sull'importanza di saper scegliere lo zucchero più adatto a noi.
I carboidrati semplici, infatti, adempiono la loro funzione in modo rapido e si consiglia di assimirarli esclusivamente per combattere un improvviso calo di zuccheri; quelli complessi, invece, formano un pool di riserva che può essere utilizzato regolarmente dall organismo.
La tabella che segue riassume i valori di IG per alcuni alimenti in riferimento al glucosio, bisogna considerare bassi i valori sotto 55, moderati fino a 70 e alti oltre quest'ultimo valore. Conoscendo queste proprietà ed il fatto che ogni grammo di carboidrati assunti fornisce 4 kcal, possiamo riflettere sulla nostra dieta e capire se davvero utilizziamo al meglio cibi ricchi di zuccheri; è inoltre opportuno ricordare che ogni prodotto che ingeriamo non viene trattato come un elemento isolato, bensì le caratteristiche della nostra alimentazione saranno date da tutti i cibi e dalle loro interazioni. Per questo è sempre opportuno, soprattutto in casi patologici, rivolgersi ad uno specialista. 


Alimento

IG
Biscotti da colazione

79
Legumi

≈ 40
Croissant

67
Crusca d'avena

55
Farina di grano saraceno

55
Farina di mais

69
Farro

56
Fruttosio

22
Gelato

61
Glucosio

96
Latte di soia

30
Latte scremato

32
Maltodestrine

105
Marmellata

49
Miele

58
Nettare di Agave

10
Nutella

32
Pane ai cereali

48
Pane bianco

71
Pane francese

95
Pane integrale

≈65
Patata bollita

56
Patata al forno

85
Patata fritta

75
Riso bianco

58
Saccarosio

64
Yogurt

≈35

(Frutta e verdura hanno in genere IG bassi tranne uva, banane, carote e barbabietole).

mercoledì 17 ottobre 2012

Gli ortaggi in foglie.

Oltre agli ortaggi di cui abbiamo precedentemente parlato in un post precedente, mi vorrei soffermare su alcune tipologie di cui si consumano unicamente le foglie; essi appartengono a varie famiglie ma presentano delle caratteristiche comuni tra cui la presenza di sali minerali, vitamine e elementi che regolarizzano l'attività gastrointestinale.
Il cavolo ad esempio fa parte della famiglia delle crucifere insieme ai broccoli e al cavolfiore, per questo rappresenta, in modo analogo, un ottimo fattore protettivo per alcuni tumori come quello al colon, allo stomaco o alla prostata; a causa della presenza di particolari sostanze che ostacolano l'assorbimento dello iodio è, però, sconsigliato a chi soffre di ipotiroidismo.
La cicoria ed altre piante ad essa affini, come l'invidia e il radicchio, possiedono un elevato contenuto di fibra con effetto lassativo, sali minerali e vitamine; l'acido cicorico, in particolare, stimola le funzioni intestinali, renali ed epatiche regolarizzando l'organismo. L'invidia e il radicchio, oltre che avere un bassissimo apporto calorico che non raggiunge le 20 kcal/100g, sono ricche di vitamina C, polifenoli e acido folico che contrastano lo stress ossidativo e prevengono alcune patologie cardiovascolari.
Tra le varietà più comuni abbiamo ovviamente la lattuga che, nelle sue varie versioni, rappresenta un alimento ipocalorico anche se non ricco di sostanze nutritive come i sopracitati; conferisce però un giusto apporto di vitamina B9 e carotenoidi.
Nella famiglia delle crucifere abbiamo anche la rucola, un prodotto caratteristico della dieta mediterranea usato per accompagnare piatti caldi e freddi; dopo un pasto abbondante, infatti, favorisce la digestione poichè stimola le secrezioni gastriche e biliari; contiene vitamina A e C che combattono la formazione di radicali liberi.
Gli spinaci rappresentano, forse, il classico esempio di alimento salutare, contengono molte fibre, vitamine e sali minerali tra cui l'abbondante ferro; è opportuno chiarire però che questo elemento è presente sotto forma di composti difficilmente assimilabili, un consiglio che posso darvi è di consumarli dopo cottura o, ancor meglio, conditi con del succo di limone o altri cibi ricchi di vitamina C, la quale favorisce l'assorbimento del ferro.
Come per tutti gli alimenti esistono però delle controindicazioni, il consumo di questi particolari ortaggi è in genere sconsigliato a chi soffre di ulcere gastrointestinali e gastroenterocolite; gli spinaci, invece, in caso di calcoli renali poichè l'acido ossalico, contenuto in quantità elevata, si deposita sotto forma di sali di calcio.


Dieta in Salute  

martedì 16 ottobre 2012

Lo zucchero, meglio chiamarlo saccarosio.

Il classico zucchero che può essere trovato in  tutte le cucine in realtà prende il nome di saccarosio. Dal punto di vista chimico è formato da una molecola di glucosio unita ad una di fruttosio, il termine generico, invece, è da estendersi ad un ampio gruppo di composti molto comuni nella nostra dieta.
E' normalmente estratto dalla barbietola e, subendo diversi trattamenti, si possono ottenere alcune varianti: lo zucchero integrale è estratto dalla canna da zucchero, presenta una colorazione più scura ed una maggiore aromaticità; lo zucchero raffinato, invece, può essere ottenuto anche dalla barbabietola ed è prettamente bianco.
Come detto in precedenza, il saccarosio fa parte di un immenso gruppo di altri composti con una struttura spesso più complessa, come l'amido o la cellulosa; per la sua estrema semplicità fornisce delle cosiddette "calorie vuote" poichè, oltre al valore energetico, non apporta nessun altra sostanza nutritiva. 100 grammi di prodotto, infatti, riescono ad apportare circa 400 kcal che in alcuni casi rappresentano una rapida fonte di energia, in altri invece un serio problema.
Il suo utilizzo abbraccia la preparazione di moltissime pietanze, soprattutto dolci, per questo non è inusuale superare i corretti livelli di assunzione giornaliera. Per ovviare a questo problema l'industria alimentare, negli ultimi decenni, ha sviluppato delle sostanze che, pur ottenendo gli stessi risultati "dolcificanti", apportano meno calorie. Tra questi dolcificanti è importante ricordare l'aspartame, l'acesulfame e la saccarina, dei prodotti con un potere edulcorante notevolmente maggiore e da poter assumere a dosi minime.
Negli anni è nata una polemica sull'utilizzo di queste sostanze, in particolare riguardo l'aspartame, essa si basa su un possibile potere cancerogeno dovuto ad un utilizzo molto frequente. Io personalmente sono dell'idea che ogni alimento, assunto in maniera scorretta, può rappresentare un rischio ma allo stempo tempo esistono dei prodotti, esclusivamente naturali, che si possonno usare tranquillamente. Mi riferisco al fruttosio, contenuto nella frutta, e al lattosio; potrebbe essere utile zuccherare i cibi con il miele, la melassa o il succo d'acero, delle valide alternative al saccarosio che forniscono circa il 30 % di calorie in meno; ovviamente anche in questi casi il consiglio è di non abusarne, sono sempre carboidrati che possono mettere a dura prova la linea e soprattutto la salute.


Dieta in Salute

venerdì 12 ottobre 2012

Consumare i salumi fa bene?

Spesso non diamo la giusta importanza ai salumi conferendogli un ruolo marginale nella nostra alimentazione: un panino imbottito come merenda, un semplice antipasto o, a nostro avviso, una pasto leggero. Questo perché non ci rendiamo conto del reale valore nutrizionale di ciascun prodotto e delle differenti caratteristiche di ognuno di essi.
In realtà, derivando solitamente da bovini o suini, sono degli alimenti ricchi di proteine, grassi, sali minerali e vitamine, quindi sarebbe opportuno trattarli in modo analogo alle comuni carni inserendoli in modo adatto nella dieta.
Gli “ingredienti” da non sottovalutare sono molti, a cominciare dall'elevato tenore lipidico che spesso raggiunge o supera il 30%, tra l'altro questi lipidi sono spesso acidi grassi di origine animale, quindi saturi, o ancor peggio colesterolo “cattivo”; le proteine sono sì di ottimo valore biologico ma, se consumati in modo errato, vanno ad aumentare l'assunzione giornaliera dovuta ad altri alimenti; i sali minerali apportati sono molti, spesso fondamentali per una corretta attività dell'organismo come ferro, calcio, magnesio e potassio, l'eccesso di sodio però li fa sconsigliare agli ipertesi e, in porzioni abbondanti, un po' a tutti. Ad esempio solo 100g di prosciutto crudo riescono a soddisfare quasi l'intero fabbisogno giornaliero di questo sale.
Tra gli altri elementi discussi avremo i nitriti e i nitrati, delle sostanze usate come conservanti, dal risaputo potere cancerogeno; ovviamente come in tutti i casi bisogna tener conto del fatto che questi elementi agiscono solo ad elevate dosi, quindi non occorre “demonizzare” i salumi ma quantomeno assumerli con raziocinio.
Analizzandoli uno per uno è chiaro come nessun prodotto possa essere considerato un elemento base della nostra alimentazione: la bresaola è povera di grassi ma ricca di sodio; la mortadella contiene vitamine del gruppo B ma molti grassi; per non parlare di salame, pancetta o addirittura del lardo. Occorre inoltre fare chiarezza sulle differenze tra prosciutto crudo e cotto: in realtà, al contrario di quanto si possa pensare, il crudo è più facilmente digeribile poiché la stagionatura avvia la digestione delle proteine; il quantitativo di grassi è abbastanza simile, solo poco minore per il cotto; la presenza di nitriti e nitrati è una costante del cotto ma non del crudo.
Penso sia chiaro, dopo questo post, che i salumi non possano essere consumati come uno spuntino o complemento del pasto, sono alimenti veri e propri ed un loro uso inappropriato può comportare un aumento del peso o patologie più gravi come quelle cardiovascolari o addirittura tumorali.

Dieta in Salute